Per Paolo Scirpa, dentro l'attesa

Di Roberto Sanesi

01 Novembre 1995

Con Roberto Sanesi, Galleria San Fedele, Milano, 1996. Mostra personale

Si è detto ragionevolmente di planimetrie, di oggettualità tecnologica, di riflessione sociale, di deliberate frammentazioni ritmiche, di processi costruttivi astratti, di constatazione comunicativa, di coincidentia fra metodo, strumento e oggetto – certo seguendo le corrette definizioni di poetica rilasciate dall’artista, le sue titolazioni, dall’intenzione prima allusiva a un contesto (“Megalopoli consumistica” per esempio) e poi più liberamente riferibile alle strutture modulari, nelle quali il riferimento pop (per così dire) con il proseguire della ricerca si azzera, per lo meno si fa sempre meno funzionale al congegno “ottico”per il quale i risultati si distinguono.
Questo, per lo meno l’iter degli anni ’70. Che fino ad allora una preoccupazione di tipo costruttivo e cinetico fosse presente nell’opera di Scirpa è perfino ovvio. A volte per espansione (di chiamata), ma anche per approfondimento che forse non trovava un’immediata giustificazione teorica – non in direzione “simbolica”. Predominava, nella lettura, la disposizione urbanistico – sociologica, l’effetto di accumulo. Io stesso – mi sto rileggendo ( 1975) – pur nel sospetto di una sostituzione, se non di un abbandono, delle precedenti “allusività di tipo più o meno sociologico con elementi del tutto estranei ad una possibile interpretazione in chiave di denuncia, non vado oltre una dinamica “astratta”, da considerare tuttavia autonoma da quelle interferenze.
Silvio Ceccato, nel 1978, supera l’impasse parlando di terza dimensione che si impone con effetti di immobilità attenzionale, ed è questo aspetto, con le sue conseguenze, che ora più mi interessa.
Mi interessa la tridimensionalità illusionistica, il suo gioco ottico “praticabile”, “percorribile”, “articolabile” come sprofondamento virtuale di un piano per moltiplicazione di un segnale semplice e identico. In un virtuosismo non innocente se una superficie apparirà insondabile, se l’esattezza e “freddezza” geometrica si darà come mezzo di una suggestione in qualche modo misterica. Il dato ovvero oggetto provocatorio di questa esperienza è naturalmente il ludoscopio, il Grande Ambiguo di cui dirà Maltese (1984), e cioè quel congegno della visibile inesistente abissalità, punto di fuga di inafferrabile immediatezza del tangibile nulla-tutto o vuoto-pieno che funzionando come metafora finisce col denunciare come sua figura una spirale – e immette in una condizione percettiva di tutt’altro rispetto all’optical tecnologico di partenza. Abisso, voragine, sprofondamento prevalgono ormai con forza sulle primitive intenzioni. Contenitori delfici, questi ludoscopi: e Rossana Bossaglia avverte di  misteri e profezie. Pozzo e spirale perché non c’è che rimando a un’immobilità stupefacente nella dichiarazione di una distanza e di un movimento che non sussistono. Ma anche una specie di sonda (con ironia, credo, per l’inganno) dentro l’attesa di una risposta – essendo “porta del regno sotterraneo, passaggio per gli spiriti che discendono al Tartaro e ne risalgono per nascere al mondo”. Scirpa non si affiderebbe mai a parole di tale rischio retorico; la loro citazione vuole essere qui solo un’indicazione di altre e segrete (ermetiche) suggestioni compresenti alla provocazione analogica che si intuisce nel fondo di questa pratica estetica che ha cambiato segno critico rispetto a più lontane interpretazioni e che varrebbe la pena indagare con più attenzione.
Tutti i progetti d’intervento sembrano rilasciare segnali di questo tipo – di “espansione a profondità metastabile”. Accade alla ragione di farsi sibilla, di insidiare le immagini che essa stessa emette con alcuni dei caratteri di ciò che diciamo genericamente “poetico”.
Milano, novembre, 1995