La dinamica del “processo di ricerca” che Paolo Scirpa presenta in questa personale implica alla base della sua immagine –l’ “Habitat” – una unità di convergenze che include componenti strutturali e percettive, disposte geometricamente in centri visuali alternanti. Ciò investe da alcuni anni la sua intenzionalità operativa. L’origine di tale continuità semantica si può infatti far risalire in lui ai “Soli” del 1966 in cui è possibile trovare già, ancora però a livello di proposta elementare, le qualità fondamentali del suo “Habitat”, cioè quel “modulare” di strutture-segni che Scirpa è venuto totalizzando da allora.
Operazione la sua, che ha riguardato l’approfondimento problematico e informazionale dell’immagine e al tempo stesso le esperienze compiute in tal senso su diversi materiali. Un ordine di comunicazione quindi che è passato da una sintesi astratto-visiva sul piano (l’Habitat) alle “Strutture intercambiabili”in legno, alla funzionalità ambientale del macro-oggetto (la “Scatola-struttura polioggettuale” esposta nel gennaio scorso alla Galleria San Fedele nella mostra “L’oggetto posseduto”, proposta che documentava le contaminazioni condizionanti, ma storicamente valide, della nostra civiltà tecnologica e consumistica ), al concettualismo (Dialettica d’una idea).
Bisogna dire che questa concezione situazionale dell’indagine era già presente in Scirpa quando ampliava il suo dialogo nel campo della grafica – in cui egli ha lavorato a lungo, mettendo in risalto creatività e perizia – ed è stata infine enucleata attorno a categorie indispensabili alla sua comunicazione. Dalla grafica deriva appunto la costante di ricerche interattive che Scirpa ha sviluppato in seguito come strumento di aperture e significatività totalizzanti. Scirpa ha riunito qui una serie di opere concernente quasi tutte le fasi della sua ricerca. Dai dipinti, connotati in prevalenza sul cerchio e talvolta sul quadrato, ai lavori su metallo (acciaio inossidabile) dove utilizza anche lo sfondo della superficie riflettente. In tutti d’altra parte, si manifesta con evidenza il rigore di una materia timbrica, piatta (blu,verde,rosso,nero, grigio). Dalle opere in alluminio, rapportate a una interazione tra il segno inciso e la virtualità speculare dell’immagine, alle impressioni a secco, al “progettualismo” concettuale della “Dialettica d’una idea”.
Penso che le interferenze strutturali di questo “Habitat”, di questa sua, direi, “topologia metamorfica ed emblematica”, hanno condotto Scirpa a visualizzare una sorta di iconografia dell’urbanistica e dell’architettura, iconografia che la sua immaginazione ha portato dal livello di verifica a quello artistico di metafora poetico-visiva. In fondo, quella di Scirpa, è una volontà di partecipazione ai problemi e alle conseguenze che affronta l’uomo all’interno del gigantismo di certe città oggi. Una comunicazione dunque rispondente ai fatti di una storia vivente.
Milano, marzo, 1972