Lo sguardo virtuale sul mondo. Una installazione di Paolo Scirpa

Di Giorgio Seveso

20 Novembre 2004

La galera del benessere, 1994/1998, Cortile Accademia di Brera, Milano, 2008

Le varie fasi e simboli delle nostre alienazioni, le false necessità del consumismo, i deserti tecnologici di una architettura degli ambienti e dei panorami urbani massificati e spersonalizzati…questi e altri d’analoga portata sono gli obbiettivi che Scirpa ha da anni nel mirino del proprio lavoro. Obbiettivi e temi, come si capisce, di natura prettamente etica, cioè di contenuto e di giudizio morale, che l’artista riesce a modulare all’interno di forme apparentemente incongrue rispetto all’assunto, ma che in questa accezione acquistano una loro compiutezza assoluta, una loro immanenza oggettuale pronta a coinvolgere noi spettatori in un forte gioco di osservazione/interpretazione, in suggestive ipotesi di decifrazioni aperte con sostanziale leggerezza ludica, in una lievità di gioco e di progetto tutto implicito nella loro dimensione virtuale.
E’evidente che mi riferisco qui alle più famose e più caratteristiche forme dell’opera di Scirpa, cioè a quegli spazi potenziali che l’artista crea mediante combinazioni di tubi luminosi al neon, campi geometrici di una topografia allusiva in sé compiuta e conclusa,dove lo sguardo viene attirato e si perde in un infinito tutto mentale, connotato da giustificazioni filosofiche e metafisiche piuttosto che da ragioni di riconoscibilità oggettiva. Si tratta dell’aspetto diciamo così più cinetico della sua creatività, che costituisce tra l’altro un durevole contributo a quella ormai quasi “storica” tendenza.
Ma la citazione della stagione del cinetismo, se pur definisce alcuni fondamenti nell’invenzione segnica dell’artista siracusano, non ne esaurisce certo il repertorio linguistico e, soprattutto, le forme che di volta in volta assumono nel suo immaginario il turbamento e l’indignazione per i meccanismi più alienanti della società contemporanea.
In questa installazione più recente, per esempio, dove Scirpa se la prende ancora una volta con lo sfrenato ed invadente consumismo che permea ogni panorama del nostro quotidiano, sono appunto presenti e insieme rinnovate alcune delle strutture linguistiche di quegli anni. Con in più, tuttavia, l’identificazione di una concretezza oggettiva che in qualche modo è ben lontana dalla virtualità delle cose di prima. Il “testo” dell’installazione è peraltro ben chiaro in questa direzione: tutto l’ universo-mondo è evocato da un globo terracqueo ricoperto, anzi del tutto costituito  da citazioni consumistiche esplicite, etichette, confezioni, involucri, marche e loghi di prodotti (imageries  del resto già abituali nei repertori di opere recenti). La realtà, insomma, è letteralmente fondata sul mercato; l’apparenza delle cose è definita dai colori e dalle forme dei rituali visivi cui gli attuali meccanismi della società consumistica ci hanno abituati. Il senso di costrizione, l’alienazione da altre possibili scelte di vita o di realtà è inoltre marcata dalla presenza di una gabbia carceraria che sostiene e contemporaneamente imprigiona il mondo nella griglia tecnologica delle sue strutture. Pur mimando il geometrismo sempre presente nel gusto compositivo di Scirpa (per esempio il rigore dei tubi fluorescenti dei suoi ludoscopi o le strisce di colore delle sue cromopercezioni) questa inferriata introduce la novità di un elemento di brutalità tecnologica, un’inedita asprezza che rende ancora più significativa  l’efficacia dell’installazione.
Come si vede il messaggio dell’opera è tutt’altro che ermetico o criptico. E’ anzi anche esplicito, perfino brutale nella sua didascalicità.
Scirpa ha trovato, per l’occasione, un mezzo d’espressione diretto e forte, di indiscutibile valenza plastica, che concilia l’ironia verso un concetto di forma bloccato e tradizionale con la capacità di suggestione di un linguaggio denso, risentito, polemico ma anche percorso dal calore di un certo humor.
Milano, 20 novembre, 2004