Realizzazione in mosaico, da elaborazione elettronica "Annunciazione" di Antonello da Messina, 1995. 147×207 cm
L’operazione “pittorica” di Paolo Scirpa si misura da tempo con una strumentazione tecnico-operativa perfettamente in linea con la sensibilità odierna e coi mezzi tecnologici più idonei a esprimere i bisogni e le potenzialità dell’attuale universo dell’estetico. Scirpa ha già avuto modo di sfruttare le virtualità dell’immagine visiva nel tentativo di contribuire a una cultura del progetto memore delle risorse di un’arte che sia capace di “correggere” a suo modo le storture di una vita appiattente e prosaica. Nell’occuparsi, da non molto tempo, di grandi artisti del passato (Antonello, Raffaello, Caravaggio) egli sottolinea intanto implicitamente una cosa: non è possibile comprendere (nel senso di implicare , far propria) l’attualità e la “forza” di grandi opere senza le nuove condizioni imposte alla fruizione dagli attuali mezzi di comunicazione, la loro ubiquità spaziale o estensione simultanea dei contenuti dell’informazione ( che sacrificano la profondità del loro senso alla dislocazione diffusa e planetaria del loro messaggio). Le regole dell’attuale recezione delle immagini dipendono in gran parte dalla registrazione fotografica e dall’elaborazione elettronica, da un processo di democratizzazione del significato del testo che assume un ruolo decisivo per la stessa comprensione.
Col suo lavoro di smontaggio di dipinti famosi, Scirpa non intende porre una sorta di opzione interpretativa che serva a legittimare modalità recettive che possano difendere le buone ragioni di una cultura alta rispetto alle regole della società di massa. Le condizioni del “transito” delle testimonianze artistiche di rango nella nostra civiltà sono imposte da un universo tecnico-scientifico e sociale così cogente nelle sue richieste e nella sua perentorietà da relegare ogni pretesa “aulica” a un ruolo marginale.
Tre sono, come si accennava dianzi, i richiami testuali di Scirpa nel suo tentativo di aggiornare in qualche modo l’arte del passato, per consentirne una lettura “prosaica “ ed ironica, non priva di effetti estetici stimolanti.
L’approccio iniziale è destinato all’Annunciazione di Antonello da Messina nel museo di Siracusa, che occupa una posizione primaria soprattutto per il richiamo a una sorta di genius loci che ha accompagnato i primi passi di Scirpa come operatore visivo. Antonello viene interpretato a partire dallo status quo ante dell’opera originale pervenutaci com’è noto assai lacunosa, con le vistose integrazioni che ne assicurano il passaggio all’attuale lettura. Scirpa aggiunge, allo “sfondo” delle lacune eseguite a suo tempo dal restauratore con la tinta neutra ( che appiattisce l’insieme, annullando la profondità del quadro), due autentici “fuochi” percettivi che bucano il dipinto e richiamano l’attenzione nel momento in cui, con l’elaborazione elettronica, si ottiene un’immagine sfocata che ne cambia il senso e produce un effetto bidimensionale. In pratica, con lo spostamento elettronico del fuoco visivo si ottiene un nuovo assetto spaziale su cui avanzano le “aperture” degli inserti di Scirpa, le sue ormai note spirali, che esaltano le potenzialità del dipinto e offrono anche nuove dominanti cromatiche; ne deriva una fruizione più gioiosa e ludica, in cui le forme originarie si muovono quasi sullo sfondo in una sorta di immagine rovesciata non priva di suggestioni.
Nel caso della celebre Trasfigurazione di Raffaello l’effetto è ancor più rilevante, visto che l’opera originale viene “ritagliata” e il rapporto tra l’immagine raffaellesca e la “spirale” è assai più stretto. Il ritaglio del Cristo risorgente rispetto all’insieme del dipinto produce un esito volutamente “riduttivo”, accentuato dall’appiattimento retinico dell’immagine fotografica che insiste assai sulla dimensione agiografica ed edificante del “contenuto”, a discapito degli elementi formali. Qui Scirpa è già consapevole del cambiamento di senso che la riproduzione impone a ogni “originale”, in un processo irreversibile che è vano stigmatizzare romanticamente in nome di un pathos purista.
Rispetto all’originale, la trascrizione produce il primo effetto spiazzante; allora diviene legittimo produrne un secondo, che sposta il baricentro visivo a opera della spirale, per rilanciare un’immagine ormai priva del suo significato tradizionale ed esaltata nelle sue virtualità grafo-pittoriche. Gioca qui un ruolo importante la serie delle dominanti scandite dal computer, quasi a sottolineare che la deriva di senso implica un potenziamento del senso stesso, quasi una disponibilità verso significati imprevisti che risultino dall’ampia apertura prodotta dal medium elettronico. La virtualizzazione operata dalla spirale rende possibile più ipotesi fruitive, senza che lo sfondo ne venga sacrificato in quanto giace su un sedimento culturale che appartiene a ogni singolo recettore e risponde a diverse sollecitazioni.
L’esempio finale del Caravaggio (Sepoltura di Santa Lucia) si muove tra i due precedenti. La figura della Santa che è oggetto di compianto da parte degli astanti viene sostituita dalla “foratura” della spirale che attrae i personaggi in un vuoto percettivo nel momento in cui ne attenua il pathos con lo scarto bidimensionale. La forzatura serve a sfocare le figure e a risucchiarle in una spazialità diversa, con gli effetti di luce che si stemperano e si disperdono nella nuova dinamicità dell’immagine.
Si tratta di provocatorie e ludiche proposte di “rilancio” visivo che contribuiscono a una sorta di smontaggio critico della tradizione dell’arte. Una tradizione che appare, peraltro, sempre meno scontata ed acquietante, per assumere aspetti imprevedibili e pieni di continue sorprese.
Milano, novembre, 1995