Il sole di Siracusa. Progetto per una scultura dedicata ad Archimede

Di Marco Meneguzzo

05 Dicembre 2006

Lo specchio ustorio, 1987-2004. Bozzetto in acciaio inox, 70x70x70 cm. Fotomontaggio, 2004. Teatro Greco, Siracusa

Perché ogni qualvolta si ricorda l’episodio degli “specchi ustori” di Archimede all’assedio di Siracusa, la mente prova un sussulto di piacere, e spesso sulle labbra compare un sorriso?
Perché quell’episodio – non importa se inventato o reale, è talmente ben congegnato… – riesce a sintetizzare una serie di elementi concomitanti e tutti positivi. Nessuno infatti ricorda che  Siracusa alla fine dovette arrendersi ai romani, e che lo stesso Archimede perì per mano di un rozzo soldato, nessuno cioè ricorda i particolari “storici” dell’avvenimento, perché sono superati, travalicati da quegli elementi “senza tempo”, la cui eccitazione ci procura piacere. Essi sono l’insieme indissolubile del genio, del luogo e della memoria.
Il genio ha a che fare con la semplicità, almeno nella vulgata, e lo specchio di Archimede è l’incarnazione di questo concetto di genialità: semplice tanto da diventare gioco di bambini (povere formiche!…), appare tuttavia sempre modernissimo, sempre attuale, come attuale (universale) è l’energia che sfrutta a proprio vantaggio, e che di fatto non è “posseduta”da nessuno, ma a disposizione di tutti, di tutti coloro abbastanza intelligenti da usarla…
Perché il sole è il secondo elemento di questa storia, il secondo elemento del piacere che essa ci procura: in questo caso il sole è anche il Mediterraneo, come “luogo” dove appunto il sole è più forte, ma anche come metafora della nascita se non della vita, certo della cultura. E’ il sole infatti che accomuna e accompagna la nascita della cosiddetta civiltà greco-giudaica, che non ci immagineremmo mai, figurandocela nella nostra mente, sotto una pioggia battente…
E infine c’è la memoria della grandezza, del genio, dell’intelletto, che unifica tutti gli elementi nell’oggi, ed è per questo che ricordare con un monumento – secondo la tradizione, un monumento è un invito al ricordo, a venerare le memorie – il genio che non è solo di un uomo, ma di una civiltà, è necessario rimembrare l’oggetto indiscusso della genialità, più che il soggetto, cioè quello specchio la cui forma astratta e di per sé perfetta è diventata in quel momento strumento della storia, cioè delle passioni e delle pulsioni umane.
In questo senso Paolo Scirpa ha ideato una forma che ricorda quello dello specchio concavo (almeno, pensiamo che fosse tale… ), con elementi metallici mobili, di una lucentezza abbacinante che restituisce per prima cosa la luce, poi la sensazione remota di una forma/idea perfetta, tanto perfetta da catturare il sole, e piegarlo alle esigenze della città, quasi che la scienza fosse una virtù civile. Gli archi di cerchio, gli “spicchi” mobili della scultura,fanno di quest’opera qualcosa di continuamente mutevole. Di fronte a una forma iniziale percepibile e conchiusa, archetipa – il cerchio concavo, così simile a quel cerchio del sole di cui deve catturare “l’anima” …-, l’artista propone una scomposizione fisica potenzialmente infinita – ogni spicchio è autonomo nel suo posizionamento variabile -, che comunque prevede e precede la ricomposizione ideale e mentale del lavoro: lo sguardo cioè, ricostruisce lo stato iniziale dell’opera anche quando questa si trovi nella posizione più fratta, più mossa, più “esplosa”, perché quella forma riconduce inequivocabilmente all’ unità, unità della natura – il sole – e della cultura – il cerchio. L’artista ne ha anche proposto due collocazioni fortemente simboliche: una, rivolta verso il mare (come doveva essere in origine, ovviamente), non certo come minaccia, ma come testimonianza di una antica eccellenza per chi giunge a Siracusa dal mare, per chi percepisce quel mare come un tutt’uno con la città; l’altra, quasi ad esergo del teatro greco, il luogo per eccellenza della rappresentazione, dove l’arte e la memoria diventavano realtà e proiezione nel futuro della forza catartica della narrazione. Come a dire che oggi la città è difesa dalla consapevolezza della propria cultura, passata e presente.
Milano, 5 dicembre, 2006